Un incontro con una ricamatrice-storyteller dallo stile raffinato e dall’universo poetico.
Di madre franco-danese e padre italiano, Coquelicot Mafille è cresciuto in una famiglia di artisti nel cuore di Montmartre. L’amore per il ricamo è stato coltivato dalla madre, stilista, e quello per l’arte dal padre, pittore. Ha sperimentato fin da piccola la ricchezza immaginativa delle lingue, la molteplicità dei saperi e dei luoghi. Coquelicot si ispira alle immagini pittoriche e fotografiche che raccoglie e le trasforma rapidamente in ricami e dipinti.
Abile nel dirottare, ricama il suo filo immaginario su vetro, tessuto, carta o anche sui muri delle nostre città con la linea discontinua che la caratterizza, che sia con il filo, la pittura o l’adesivo. Universo poetico, storie immaginarie e personaggi tratti dalla multiculturalità e dall’archeologia… Con uno stile raffinato e riconoscibile, l’artista del ricamo ci invita a riflettere e a sognare.
I suoi ultimi lavori? Grandi pareti come quella dipinta al Muro di Oberkampf a Parigi, e vetrate come quella creata per la Fondazione Feltrinelli a Milano, o le illustrazioni per la casa di moda Gucci.
Appassionata della storia di Roma, a febbraio esporrà presso LdG Art & Patrimoine tre serie di disegni ricamati e dipinti in omaggio alla Città Eterna. Incontrare un artista poliedrico.
Il suo stile in poche parole?
“Il mio stile è caratterizzato da una linea grafica, fine e delicata. All’inizio ho usato il mezzo del filo e del ricamo. Poi questa linea discontinua è stata declinata su diversi supporti e attraverso altri mezzi come la vernice o l’adesivo. Il mio ricamo e il suo gesto nascono dalla scrittura, le mie opere raccontano anche delle storie”.
Su quali supporti ricama?
“Ricamo con il filo su tutti i tipi di tessuto e su carta bianca o stampata, su tela su cui incollo immagini o altri tessuti che danno un effetto di sovrapposizione. O su tela semplice. Con la carta mi piace capovolgerla per far passare la luce attraverso i fori. Lavoro anche sul vetro delle finestre, perché è completamente trasparente, e lo chiamo ricamo su vetro. Taglio a mano delle linee di plastica adesiva e le faccio aderire alla superficie. Il fatto che non siano per nulla uguali, né dritti all’occhio, è ciò che dà ritmo all’opera, la fa respirare. Ricamo anche sui muri, all’interno o all’esterno, questa volta con la pittura”.
Da dove trae ispirazione?
“Sono ispirato da tutti i lati. Se l’idea scatta nella mia immaginazione intima e nei miei stati d’animo, trovo l’ispirazione un po’ per caso, nelle mie ricerche, nelle mie letture, nel mondo e nella vita intorno. Le persone che incontro quando cammino per strada, l’architettura che scopro, le immagini che mi vengono in mente. Spesso prendo appunti o foto che poi uso come modelli per i miei disegni. Nelle mie scelte sono guidato da un gusto estetico che deriva dalla mia infanzia, poetico, multiculturale e poliglotta.
Quali artisti la ispirano?
“In genere si tratta di artisti che non hanno nulla a che fare con il mio lavoro, che sono più spesso astratti e che mescolano i colori. In realtà il mio stile è molto figurativo, è certamente grafico ma rimane figurativo. Al momento mi piace molto il lavoro della pittrice inglese Jeanne Chontos, che disegna bolle, cerchi colorati. Mi piace anche il lavoro della pittrice Michelle Pisapia, che mescola i colori, è molto delicato. La lista è molto lunga, c’è anche Charlotte Salomon che mi commuove, o la ricerca di Carla Accardi, per citarne solo altre due”.
Qual è il suo processo creativo?
“All’inizio c’è la visione intima e poi il disegno, a volte anche il contrario. In tutti i casi, attingo al mio vasto archivio personale di disegni preparatori ispirati a immagini tratte da archivi, enciclopedie, dipinti e vite incontrate. Distolgo o conservo l’essenziale e combino questi disegni che provengono da tempi e luoghi diversi. Per la creazione di un’opera, ripercorro i disegni che ho già fatto, come se fosse una tavolozza di colori, o ne creo di nuovi, poi li assemblo, immagino composizioni che saranno ricamate o dipinte, grandi sulle pareti o più piccole sulla tela, a seconda delle esigenze. Lavoro molto anche in serie. Per esempio, c’è la serie Lecture, che parla di persone che leggono, libri, case editrici, scrittori. C’è anche la serie Disorder, che è un’accozzaglia del mondo contemporaneo in cui combino la pittura con il ricamo, e la serie Word, composta da parole e brevi frasi dipinte su carta. Le mie opere sono come poesie visive e anche la loro forma molto spesso mi viene in mente sul momento”.
Quali sono i suoi poeti preferiti?
“I miei poeti preferiti saranno sempre Paul Eluard e René Char. Diciamo che ho passato molto tempo con loro”.
Qualche parola sulla sua residenza al Mena Fueco?
“Prima di questa residenza, non avevo mai toccato la ceramica, ma da anni volevo scoprire questo materiale, che favorisce la sperimentazione. Con questa residenza ho voluto prendere la linea discontinua del ricamo che caratterizza il mio lavoro e applicarla alla ceramica. Ciò che è incredibile è che il tempo della ceramica non corrisponde affatto al tempo a cui siamo abituati quando dipingiamo, sono regole completamente diverse. Non solo bisogna avere molta pazienza per i tempi di essiccazione e di cottura che sono inevitabili, ma bisogna anche essere molto filosofi, abbandonare l’abitudine al controllo e saper accogliere la sorpresa, perché è il forno a decidere. Tanto l’estetica del risultato finale quanto la sopravvivenza stessa dell’opera. A Mena Fueco ho prodotto 300 mattoncini che ho applicato spontaneamente al muro della città di Grottaglie per comporre una testa di ariete e una testa di donna, disegnate sulla base di bassorilievi greci visti al Museo Archeologico Nazionale di Atene, e poi ho realizzato una ventina di statuette 2D di danzatrici”.
Qual è la sua ultima opera d’arte preferita?
“Il film Fire of love dell’americana Sara Dosa, la storia di Maurice e Katia Krafft, è stato semplicemente sublime, sia per la loro vita che per le immagini filmate. Adoro questo tipo di storie”.
Quale sarebbe il progetto dei suoi sogni?
“Il mio sogno è legato al mio progetto Reperti: oggetti di uso quotidiano, maschere, statue, paesaggi dell’antichità, opere selezionate da tutto il mondo e di diverse epoche sono rappresentate/reimmaginate. Come progetto itinerante voglio portarlo nei musei archeologici di tutto il mondo. Pertanto, esporre al Museo di Baghdad “i miei leoni assiri” che ho visto al Pergamon Museum di Berlino o esporre lì opere ispirate all’arte nigeriana o presentare l’effigie delle maschere inuit al Petit Musée de la Récade di Cotonou significherebbe inventare un nuovo modo di abbracciare i secoli e mettere in dialogo diverse parti della cultura del mondo, ribaltando le concezioni rigide, gerarchiche e conservatrici del sapere”.
Qualche accenno alla sua prossima mostra presso LdG Art & Patrimoine?
“Una parte della mostra sarà dedicata alle rovine, a ciò che ci portano come messaggio oggi. Per questa serie ho scelto tessuti trasparenti per illustrare la loro fragilità, il passare del tempo, gli strati che ci abitano, il modo in cui ci muoviamo attraverso di essi come nelle quinte di un teatro, le diverse ambientazioni di un arredamento che suggeriscono il processo. Ci sarà anche una serie di lavori più piccoli su tela, con collage, pittura, qui esplorerò Roma con immagini o vecchie incisioni che colorerò, sfumerò, dipingerò… Infine, ci sarà anche una serie di parole in italiano, il progetto che chiamo Word. Infatti, quando faccio i miei quadri sui muri, scrivo accanto una piccola poesia che diventa il titolo dell’opera, questo stesso impulso ma su carta”.
QUI la presentazione della mostra.